Terza
recensione librosa di Sam ~
Ben
ritrovati, dunque!
Quest’oggi
vorrei recensire un libro che mi ha fatta sognare: Le lettere del Sabato, di
Irene Dische.
Titolo: Le lettere del Sabato
Titolo
originale:
Zwischen zwei Scheiben Glück
Autore: Irene Dische
Pagine: 93
Prezzo: 5,50€
Ed. Universale Economica Feltrinelli
Trama
«“Sono
nato con la camicia,” ripeté ancora una volta Laszlo, il padre di Peter, prima
di trasferirsi, alla fine degli anni trenta, dall’Ungheria a Berlino. Peter va
con lui e osserva affascinato la grande città, con i suoi cinema e le feste e l’atmosfera
di grande eccitazione che non riesce a capire fino in fondo. Peter non sa di
essere ebreo e quando Laszlo non può più nasconderglielo lo rimanda in
Ungheria, dal nonno.»
Qui
Peter aspetta una settimana dopo l’altra le lettere che ogni sabato arrivano
puntuali da Berlino e lo fanno sognare. Ma l’illusione si fa sempre più fragile
perché un giorno, entrando nello studio del suo anziano parente, Laszlo viene a
conoscenza di una verità scioccante e, al contempo, straziante che farà
crollare tutte le illusorie certezze che avevano retto il suo mondo fino a quel
momento, rendendolo però più forte, più grande di prima.
Recensione
Perché
ho scelto di recensire questo libro sconosciuto?
Semplice:
io amo i libri che trattano di Olocausto e, più in generale, di Nazismo. Trovo che
siano tremendamente coinvolgenti e appassionanti e che, attraverso la
narrazione di storie più o meno vere (da intendersi: autobiografiche e non)
permettono al lettore di immergersi in un mondo che sembra all’apparenza lontano,
ma che in realtà è ancora molto vicino a noi.
La
crudezza degli eventi narrati è quasi affascinante, devo dire. E per questo
tali libri mi attirano come una calamita attira un pezzo di ferro.
Per
questo libro, invece, è stato diverso; è stata un’odissea assurda, credetemi.
Sono
entrata in libreria e l’ho visto lì. Ne ho letto la trama e l’ho riposto, perché pensavo fosse un racconto superficiale, che non avrebbe reso giustizia a quel che è stato il Genocidio di massa che l'autrice ha scelto come tema di fondo per questo romanzo.
Il
giorno dopo, piena di sensi di colpa, sono tornata in negozio e l’ho comprato –
che poi, tra l’altro, era anche l’ultima copia rimasta – iniziando a leggerlo
subitissimo.
Non
mi sono mai pentita di aver ripensato e rivalutato la mia impressione iniziale
e procedo subito a spiegarvi perché. ~
Questo
libro è l’amore.
In
tutti i sensi.
L’amore
di un padre verso il figlio, l’unica cosa che gli è rimasta al mondo.
L’amore
di un figlio verso il padre, che aspetta incessantemente per anni il suo
ritorno, che desidera imparare a diventare grande per mostrargli, un giorno,
quanto anche lui si sia dato da fare nel frattempo.
L’amore
di una donna che, scampata all’Olocausto, torna da Peter per cercare di mettere
insieme la famiglia che lui ha perduto e andare avanti, riabbracciando la felicità e dimenticando gli orrori vissuti fino a quel momento.
L’amore
di un nonno rude che si prodiga per il nipote e per la sua felicità, anche se
questo significa illuderlo e rischiare che l’illusione, un giorno, si spezzi.
I
personaggi, grossomodo, sono proprio questi quattro: Laszlo, che dice di essere
nato con la camicia, che viene schernito da tutti ma che, nel corso del
romanzo, si dimostra essere il padre migliore del mondo. Quando fiuta il
pericolo, sceglie di portare Peter in Ungheria, città natale dell’intera
famiglia, e affidarlo al burbero nonno, tornando poi a Berlino e concludendo lì
la sua esistenza.
Poi
c’è Peter, nucleo vitale di Laszlo, la sua ragione di vita, che vive nel mondo incantato che l’adulto
sceglie di mostrargli, cercando di tenerlo lontano dagli orrori della Guerra,
dagli orrori di Hitler. A questo bambino, curioso e obbediente, quanto
adorabile e affezionato al padre, Laszlo mostra solamente la parte buona – o quel
che n’è rimasto – del mondo circostante che va pian piano sgretolandosi, perché quello vuole che gli rimanga impresso: bei ricordi.
Il
nonno, invece, è un personaggio interessante: si mostra burbero, scostante e
scontroso, maniaco dell’ordine, della pulizia e dell’educazione. Esige che
tutto sia impeccabile, così come esige che nessuno entri nel suo studio, luogo
in cui custodisce un segreto estremamente dolce, che rivelerà la profondità del
suo cuore, dei sentimenti che egli prova nei confronti del piccolo Peter, che
sembra tenere costantemente alla larga.
Infine,
c’è Thea che ha fatto da colf, diciamo, a Laszlo quando era a Berlino insieme a
Peter. Ha finito con l’innamorarsi di quell’uomo e sceglie, alla fine del
libro, di compiere un passo importante. Come ho scritto nell’introduzione,
questa ragazza all’apparenza nevrotica, isterica e insopportabile,
ritorna a Budapest con una bambina e sceglie di fare a Peter il regalo più bello che un bambino, allontanato dai propri punti fermi, possa ricevere: riunire una famiglia ormai
distrutta, mandandola avanti da sola, lasciandosi alle spalle gli orrori di Guerra e Olocausto.
Altro
motivo per cui questo libro è l’amore: il punto di vista è particolare.
Il
narratore è esterno, però racconta abilmente gli eventi osservando il mondo
attraverso gli occhi di Peter, che è ancora un bambino. Anche la feccia che lo
popola diventa improvvisamente qualcosa di tenero e irresistibilmente dolce.
Sembra
quasi che Irene Dische ci racconti di un sogno, piuttosto che di eventi crudeli
e disumani, ma è questa la particolarità di questo libro, ciò che più ho
apprezzato.
Non
scende nello scadente, non minimizza nulla, non rende meno importante il
ricordo di quel Genocidio. Lo presenta al lettore dopo averlo sottoposto al
filtro degli occhi di un bambino e lo condisce con deliziosi disegnini a fine
capitolo.
Io
l’ho adorato, perché è uno stile diverso dal solito, particolare, che non avevo
mai trovato da nessun’altra parte. Uno stile che avevo sottovalutato ma che,
invece, mi ha costretta a divorare il libro – seppur gustandomelo fino in fondo
– e a ridere, sorridere, commuovermi e rattristarmi per i protagonisti a cui,
inevitabilmente, ti affezioni. Impossibile non immedesimarsi in loro e non
vivere al loro fianco le vicende in cui si trovano coinvolti.
Una
storia diversa, più leggera e adatta a tutte le età, a tutti i tipi di persone,
anche quelle più sensibili all’argomento trattato, perché questo libro è in
grado di smuovere anche il cuore più duro.
Voto:
10/10 (anche qui).
E
no, giuro che non lo faccio apposta. xD un giorno vi porterò anche la
recensione di un libro che non mi è piaciuto.
Dovrò
impegnarmi a trovarlo, però lo farò, promesso… xD
Quote:
«C’era
una fotografia del padre appoggiata sulla mensola del caminetto. Era solo una
piccola immagine di un giovane sorridente con gli occhi e i capelli neri,
dentro una cornice d’oro, e parte di una guancia era nascosta da un ramoscello
di fiori rosa in un vaso sulla stessa mensola. Tutto a un tratto il resto della
stanza, il resto del mondo perse ogni importanza, ogni colore, ogni dettaglio. Quel
viso era tutto ciò che importava. Ma quel viso, imprigionato in una cornice d’oro,
non poteva venire da lui.
Peter
rimase sconvolto da quell’improvvisa nostalgia del padre. Se avesse saputo come
chiamare quel sentimento avrebbe potuto dire amore, se avesse saputo come
descriverlo avrebbe detto perdita.»
E
voi? che ne pensate?
L’avete
letto?
Se
vi va, lasciate un parere e fatemi sapere cosa ne pensate di questa recensione.
~
A
presto! ♫
» Sam ♥
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